Storia della racchetta

Vediamo ora invece che cosa è successo nell’evoluzione dell’attrezzo  dal momento in cui il maggiore inglese Walter Clopton Wingfield ha codificato e brevettato le regole del gioco rimandando alla splendida trattazione di Gianni Clerici nel libro “500 anni di tennis” per quello che è successo in precedenza, cioè dai primordi del gioco fino alla definizione delle regole.

Come è possibile che spesso si vedano i giocatori più bravi colpire non esattamente al centro del piatto corde e ugualmente la palla schizza dalla racchetta con una velocità impressionante?

I colpi disassati si vedono spesso in tutte le esecuzioni del tennis ma è nel servizio che il fatto assume contorni eclatanti.

Anzi diventa un fattore incentivante per cercare di aumentare la sicurezza (se si colpisce da una posizione più elevata aumenta infatti la tolleranza) senza perdere in velocità.

Quando si giocava con racchette di legno un ragionamento del genere non era possibile a causa della ridotta zona di impatto a massima restituzione.

La moderna tecnologia invece consente di costruire attrezzi in cui c’è potenza massima anche in punti vicini al telaio oppure racchette più lunghe senza gli svantaggi in peso totale ed equilibrio delle racchette di legno.

E’ il 1874 quando vengono realizzate le prime vere racchette da tennis in legno ed è circa il 1900 quando il piatto corde diventa definitivamente ovale.

Dai primi del 900 praticamente fino alla metà degli anni settanta il legno ha dominato risultando praticamente l’unico materiale con cui si costruivano le racchette.

I metodi di assemblaggio si sono via via affinati anche se il principio costruttivo è rimasto lo stesso e cioè la costruzione stratificata, ovvero la sovrapposizione di tante listelli di legno di diversa qualità e resa, compressione ed incollaggio.

Le ultime racchette di legno pesavano mediamente intorno ai 400 grammi, avevano una superficie dell’ovale di circa 440 centimetri quadrati, non erano particolarmente rigide e la loro attitudine alla spinta era garantita dal peso elevato.

La prima vera alternativa al legno fu il metallo. René Lacoste, uno dei 4 “moschettieri” di Francia plurivittoriosi in Davis, ebbe l’idea nel 65  di realizzare la racchetta in metallo, un attrezzo in grado di garantire un peso più contenuto e una distribuzione delle masse più omogenea.

Il metallo più gettonato fu l’alluminio perché offriva ottime garanzie di leggerezza.

Il cambiamento radicale avvenne però per merito di Howard Head alla fine degli anni sessanta.

Dopo aver applicato con successo le sue scoperte alla costruzione degli sci, Head decise che anche le racchette si potevano costruire alternando strati di legno a strati di resine sintetiche.

La strada era ormai battuta e fu tutto un succedersi di materiali: fibra di vetro, carbonio, kevlar, boron e ceramica.

Tali materiali consentirono la costruzione di telai più leggeri, maneggevoli, precisi, più o meno flessibili a seconda delle esigenze di controllo.

Si arrivò alla prima racchetta realizzata interamente in graphite a cuore aperto nel 1978, la mitica Black Ace.

Il “racchettone”, ovvero la mega racchetta che fa giocare anche i brocchi, era già nato a metà degli anni settanta ancora grazie all’intuizione geniale di Head.

Dal tradizionale ovale di 440 centimetri quadrati si passò a misure doppie per assestarsi poi in epoca recente sul cosiddetto ovale mid plus di 630/640 centimetri quadrati, considerato il miglior compromesso, in fatto di telaio, fra caratteristiche di potenza e di controllo.

E’ sul finire degli anni ottanta che si verificò una rivoluzione almeno pari a quella introdotta dal racchettone: l’era del “wide body”, le racchette profile in cui Kuebler, che ebbe per primo l’idea, superò la barriera dei 30 millimetri di spessore del profilo.

E’ la racchetta che risolve i problemi di potenza soprattutto per braccia esperte che sappiano controllare al meglio i colpi.

Da quel momento profili, sezioni e rastremazioni differenti hanno invaso il mercato e oggi ogni giocatore è in grado di trovare la racchetta con le caratteristiche di potenza desiderate.

Si è arrivati nel lungo cammino dalle origini del gioco ai giorni nostri, momento in cui il profilo delle racchette è ridiventato tradizionale e se da una parte i costruttori si preoccupano con le “long body” di non interrompere la folle corsa alla sempre maggiore potenza, dall’altra buttano un occhio ai problemi dei comuni mortali rendendo le racchette sempre più confortevoli soprattutto dal punto di vista delle vibrazioni trasmesse al braccio.

E’ nata con questo intento la Kinetic, racchetta che sfrutta il principio delle masse in movimento.

E’ stato l’ingegnere aeronautico Sommer ad applicare alle racchette da tennis il principio con cui si costruiscono le ali degli aeroplani.

Nel caso delle racchette tante piccole capsule sistemate sul telaio sono in grado di aumentare l’accelerazione all’impatto ma soprattutto di assorbire parte delle vibrazioni conseguenti al contatto con la palla diminuendo in tal modo l’energia di vibrazione trasmessa al braccio.

Era inevitabile che una serie di cambiamenti tanto importanti nell’attrezzo comportasse variazioni fondamentali nel gioco.

Con le racchette di legno le velocità coinvolte erano nettamente inferiori e il punto soprattutto si doveva conquistare con geometria di gioco e corrette scelte tattiche.

I colpi erano giocati perlopiù con la rotazione indietro o piatti perché era molto difficile spingere in top spin con attrezzi in cui la zona di massima restituzione era ridotta.

Allora il gioco risultava molto più vario e si dovevano saper fare molte cose per eccellere.

Con il miglioramento dei criteri di preparazione fisica sono successivamente cresciuti i primi superatleti, Borg e Vilas, i quali, grazie ad una condizione fisica eccezionale, riuscivano ad arrotare nonostante le racchette di legno diventando imbattibili nei rimbalzi.

Ai tempi del legno si individuavano sostanzialmente due categorie di giocatori: gli attaccanti e i difensivi.

Con l’avvento della graphite invece le categorie si sono allargate fino ad arrivare ai giorni nostri in cui le differenze tecniche a volte sono minime e i giocatori di servizio e volèe sono praticamente scomparsi. La tattica attualmente ha perso la funzione primaria perché il campo è diventato in pratica un tavolo da ping pong su cui si tira forte da tutte le posizioni e in tutte le posizioni.

Un tempo era impensabile o quasi vincere un punto sbagliando la soluzione di gioco.

Attualmente invece, con lo straordinario aiuto che deriva dall’attrezzo, si può uscire dalla più critica delle situazioni con un colpo a sorpresa.

Si diceva delle categorie di giocatori: qualche interprete del serve and volley è rimasto, ma la grande maggioranza è composta di attaccanti dal fondo e contrattaccanti con qualche giocatore di classe capace di farsi valere in tutte le zone del campo (giocatore a tutto campo).

Tutto però si basa sulla battuta diventata un colpo micidiale e troppo spesso definitivo grazie all’apporto degli attrezzi sempre più potenti e sofisticati.

In particolare sui terreni veloci le ribattute sono diventate sporadiche e la quasi totalità dei punti si risolve nell’arco dei 5 secondi.

Il grande imputato della eccessiva essenzialità del tennis contemporaneo è dunque soprattutto il servizio e con esso le racchette troppo potenti che con la battuta permettono sfracelli.

La battaglia contro l’attuale stato di cose si è comunque perduta agli albori dell’introduzione della fibra nella costruzione degli attrezzi quando, mutuando la decisione presa dalla lega professionistica del baseball americano, si sarebbe potuta arginare la marea di graphite. Accortisi che non c’era quasi più gioco ma solo una serie interminabile di home run con le nuove mazze di metallo e fibra, i dirigenti della lega proibirono l’uso di tali attrezzi ritornando precipitosamente al legno.

Il tennis non lo ha fatto e ora ne paga le conseguenze.

Intendiamoci, il jet tennis può essere molto spettacolare ma solo tra grandi interpreti.

Gli altri grandi battono molto e rispondono poco. Come potrebbe essere diversamente considerate le velocità di partenza nella palla di battuta?

Le cellule misurano velocità intorno ai 240 chilometri all’ora, ma è stato dimostrato da un gruppo di ricercatori giapponesi che tali velocità risulterebbero calcolate per difetto con un errore fino al 15 per cento.

Ciò vorrebbe dire che i servizi sarebbero sparati a circa 280 all’ora! Il futuro?

E’ certo che il progresso tecnologico dell’attrezzo non si fermerà dotando i giocatori di racchette sempre più sofisticate e in grado di sviluppare potenze sempre più elevate.

E’ da augurarsi peraltro che di pari passo procedano i tentativi di rallentamento della velocità del rimbalzo effettuati sulle superfici e sulle palle in modo da mantenere il gioco ancora godibile.

Attualmente alcuni produttori in collaborazione con aziende elettroniche e di informatica rinomate, hanno creato dei chip che inseriti nel manico o fissati al cuore della racchetta sono in grado di raccogliere moltissimi dati che riguardano i colpi eseguiti.

Sarà il futuro?